CASTIGNANO è nota in Italia e nel mondo per due cose:
- la Stele italica “il cippo di Castignano” (iscrizione italica su arenaria con scritta bustrofedica del V-VI Sec. a.C.), la più antica iscrizione italica rinvenuta sulla cui interpretazione si sono divisi e seguitano a farlo archeologi, storici e linguisti per le diverse radici linguistiche che vi si rintracciano;
- l’Anice verde per la quantità che ne veniva prodotta e soprattutto per la qualità che lo differenzia rispetto agli altri per la sua alta percentuale di essenza estratta e di anetolo
Due storie e due percorsi che hanno molti punti di convergenza, che li legano nella storia di quell’antico e“ faticoso viaggio della civiltà dal Medio oriente alle nostre rive” (Balena)
E’ con piacere che vogliamo far conoscere agli Amici ed ai giovani la particolarità di una coltura tipica che da sempre ha dato lustro alla nostra agricoltura, (presenze sui testi di coltivazioni di anice fin dal XV secolo) ed alla fine dell’800 ha contribuito ad esaltare l’idea imprenditoriale di Silvio Meletti con la commercializzazione a livello internazionale dell’anisetta.
Stavamo assistendo alla sua agonia e, se non ci fossimo attivati tempestivamente, già da qualche anno avremmo perso la possibilità di apprezzarne le virtù.
L’orgoglio, la proverbiale “cocciutagine castignanese” ci ha portato ad insistere ed a rilanciare la produzione di questa pianta che sulle nostre Colline, le Alte Colline Picene, sulla sommità dei calanchi è in grado di esaltare al massimo il proprio profumo e la sua essenza.
L’anice è strettamente legata alla cultura, alla storia ed alle tradizioni di tutte le antiche civiltà che si affacciano sul mediterraneo, in particolare quelle Egeo-anatoliche.
L’uso che di esso viene fatto e si conosce prevalentemente, quello per la distillazione (mistrà) e la liquoristica in genere, è quello meno esaltato dagli erboristi e dai medici di tutti i tempi; in quanto ritenuto il più “nocivo per la salute” poiché le sostanze allucinogene, che esso contiene, con la distillazione si esaltano riducendo l’efficacia di quelle virtuose.
In un manoscritto dell’XI-XII secolo “REGIMEN SANITATIS SALERNI – FLOS MEDICINAE”, il Fiore della Medicina, dopo aver trattato nel Caput I. “De remediis generalibus” le regole da rispettare per una vita in salute, si analizzano la qualità di diverse piante officinali ed al Capitolo L
“L’occhio l’anice avvalora e lo stomaco ristora, tra sue specie quello apprezza in cui trovi più dolcezza”
Un testo, al quale da tempo ho fatto riferimento, e che sintetizza in maniera eccezionale le virtù dell’Anice verde; un testo che venne tradotto e pubblicato nel 1480 da ARNALDO DA VILLANOVA (ARNOLDI DE NOVA VILLA – Francia 1240-1312) un Catalano, che fu Medico Archiatra di Papa Bonifacio VIII. Solo di recente tuttavia abbiamo avuto modo di accertare che sia stato anche Rettore degli Aromatari di Castignano e di Montedinove.
L’Anice Verde è una pianta erbacea annuale originaria dell’Oriente e diffusasi in tutto il bacino Mediterraneo ed in territorio europeo; i suoi semi, sono stati utilizzati fin dall’antichità come una sorta di “panacea” per la salute dell’uomo, oltre che come aromatizzante nella cucina mediterranea (dei cibi, del vino e delle bevande), questo gli ha dato una larga diffusione e grande rilevanza economica, tanto da essere avvicinato alle più importanti specie commerciali usate nell’alimentazione quali i cereali, la vite, gli ortaggi, la frutta e l’olivo.
La sua presenza è stata accertata storicamente fin dai tempi dei Faraoni e dei Babilonesi; molti scrittori ne hanno citato le virtù: Ippocrate lo consigliava per sciogliere il muco nelle affezioni respiratorie, Celso e Galeno riconoscevano all’anice virtù eccezionali, lo consigliavano contro i dolori intestinali, l’itterizia e gli avvelenamenti; Pitagora considerava il pane cotto con i frutti di anice, ingrediente favorito dalla cucina romana. Secondo Plinio curava le indigestioni, provocava un dolce sonno, freschezza al viso ed attenuava le rughe dell’età. Carlo Magno, convinto che non si potesse vivere senza anice, raccomandava di coltivarlo e, per suo conto, lo fece piantare senza economia negli orti imperiali di Acquisgrana; nei suoi “Capitolari” (la più grande raccolta di ordinanze e leggi medioevali) si autorizza la commercializzazione con l’Oriente dell’olio essenziale estratto dalla pianta dell’anice.
Quella essenza mitica che era definita come la QUINTESSENZA.
Il ripetuto interesse di tanti ed illustri autori di tutti i tempi verso l’anice verde e gli enoliti anisati, testimonia l’importanza che essi hanno avuto nella vita quotidiana per molte generazioni.
Nelle Marche alla fine del 1700 l’anice era una spezia di largo consumo, ed è tra le merci più commercializzate.
Nel Piceno l’Anice verde viene coltivato prevalentemente nei Comuni di Castignano, Appignano del Tronto ed Offida.
Il seme prodotto e raccolto con una tecnica colturale esclusivamente manuale nelle colline castignanesi, è più ricco di profumi e sapori: è pieno di dolcezza, con una percentuale di anetolo notevolmente superiore a quello degli altri siti.
Semi |
Essenza estratta |
Anetolo |
Castignano |
4,6% |
94% |
Messico, Cile, Siria |
1,5% |
80/90% |
A Castignano l’anice verde è stato coltivato per gli usi alimentari familiari da tempo immemorabile, ma cominciò ad essere coltivato in maniera intensiva nella seconda metà dell’800, quando l’uso dell’anice nella distillazione casalinga venne perfezionato al punto tale da diffondere liquori all’anice (anisetta, anisina, sambuca, mistrà) in produzione industriale; questa evoluzione portò -nel periodo tra le due guerre- ad una produzione accertata di 80 q.li annui (1948), che veniva venduta prevalentemente alla Distilleria Meletti per la produzione dell’anisetta, sulla cui etichetta ancora oggi è indicata la provenienza di quegli anici (Castignano).